Conversazione con Johnny Dotti su L’Osservatore Romano

“Noi abbiamo giocato a riempire tutto. Il consumo compulsivo cui siamo stati allenati negli ultimi cinquanta anni, non è stato altro che una grande fuga dal vuoto. Noi non lo reggiamo, il vuoto. Abbiamo bisogno di riempirlo costantemente. Questo tempo ci chiede invece di attraversarlo, di farcene attraversare. L’immagine del Papa nella piazza San Pietro deserta è un’immagine forte perché trasmette il coraggio di attraversare il vuoto della vita. Le forme sociali, le forme umane, le forme affettive, nascono tutte dal vuoto. Il desiderio non si accende se non c’è il vuoto. Le stelle non riesco a vederle, se c’è di mezzo il fumo, devo avere un cielo sgombro, devo essere al buio. Questo dice tante cose, sui tempi del lavoro, sui tempi del riposo, sui tempi della meditazione, sui tempi che non sempre devono essere vissuti di corsa, accelerati, quando ogni tanto bisogna andare più lenti. Vede… vuoto, silenzio e solitudine sono forme dell’“abitare”. Se lei vive in un “alloggio” è evidente che non può vivere nel vuoto, nel silenzio, nella solitudine: impazzisce. “Alloggio” è una parola che abbiamo preso e applicato artificialmente alle case per gli uomini. Fino al secolo scorso si usava per i soldati e per gli animali. Non ci può essere un “alloggio” per una famiglia. Ci deve essere una “casa”, che contempli degli spazi, delle relazioni, che contempli un dentro e un fuori. Lo stesso vale per il termine “appartamento”, che viene dalla tradizione imperiale portoghese e francese. Ma gli appartamenti in quel caso stavano dentro alle regge. La casa invece non è un appartamento e non è un alloggio: è il luogo e il tempo in cui le nostre relazioni fioriscono perché sono custodite come in un nido ma crescono perché vengono messe dentro una rete. Perché la casa, come la famiglia, è contemporaneamente un nido e una rete. I nostri paesi, un tempo, erano costruiti rispondendo a questo concetto: la piazza, i vicini, le case da ringhiera, le cascine. Guardi, le cose che sto dicendo sono assolutamente “tradizionali”. Ma non hanno a che fare con l’antiquariato, hanno a che fare con il passaggio di un principio. Ora noi dobbiamo consegnare questi principi, trasformati, alle nuove generazioni. Ma senza interiorità non riusciremo a farlo.”

Intervista completa: https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/ripartire-dal-silenzio.html?fbclid=IwAR2WrJH4ONKkgOO3Z7VB69BZq1Hx3BHEZclkhcWCv2g8brezHH5mSlwj1L8